PHOTOPAINT
Dopo una prima fase di ricerca sperimentale iniziata nel 2012, ha preso l'avvio un processo collaborativo che vede uniti due artisti cuneesi, Ober Bondi per la fotografia e Cesare Botto per la
pittura, i quali, pur operando in ambiti diversi, hanno voluto articolare tridimensionalmente le due tecniche in un confronto diretto e paritetico.
Le singole personalità, mantenendo ovviamente la loro libertà creativa e divulgativa, si presentano saltuariamente insieme per offrire al pubblico una lettura aggiornata della loro simbiotica
produzione, seguiti con interesse da appassionati d'arte e dalla critica, come testimonia l'estratto in calce di Fulvia Giacosa, scritto in occasione della mostra “La linea d'ombra” tenuta in
Palazzo Samone di Cuneo nel 2016.
ATTRAVERSAMENTI
La recente occasione di un lavoro in tandem con il fotografo Ober Bondi conduce l’artista Cesare Botto, ad una nuova riflessione sul rapporto tra fotografia e pittura e, nel contempo, su quello
tra opera e spettatore.
Di che si tratta?
Intanto di opere di collaborazione, come si diceva: non realizzazioni a quattro mani, che tante volte si sono viste nella storia artistica degli ultimi cinquant’anni, ma lavori autonomi,
solitamente prima la fotografia rigorosamente in bianco e nero di Bondi, poi l’intervento pittorico di Botto sul retro di un vetro.
Il punto di incontro-scontro avviene dunque su due piani distinti, nel rispetto assoluto delle reciproche ricerche.
Le fotografie sono spaccati di realtà immobilizzati dall’obbiettivo fotografico che l’autore ha dotato di “codice” – per usare un termine di Roland Barthes -, vale a dire di valenza
simbolica.
In nome di tale ricchezza Botto guarda la fotografia come ulteriore spunto per l’approfondimento del mondo.
Tra i due piani di posa – la stampa fotografica ed il vetro trasparente dipinto – si frappone uno spazio vuoto che è luogo dell’attraversamento comunicativo.
L’opera finale trasforma due bidimensionalità in unità tridimensionale e lo spazio che intercorre tra il fondo – la fotografia- e il primo piano – pennellate, colature, strisciate o
grumi di colore – è strumento attivo nella formulazione dell’immagine.
Grazie al segno dinamico della pittura, l’insieme reintroduce nel flusso del divenire l’ attimo inesorabilmente fisso colto dal fotografo, intensificando le interrelazioni.
Ma c’è di più. Grazie al vuoto tra i due piani la pittura proietta ombre sulla fotografia che mutano di inclinazione e direzione al muoversi del riguardante dando vita ad una pluralità di
influenze.
Lo spettatore diventa così il terzo attore del processo, invitato a moltiplicare la propria attenzione. Il che è già di per sé un risultato, in una contemporaneità schizofrenica e distratta dove
l’attenzione è sempre più rara, la riflessione quasi scomparsa.
Fulvia Giacosa, agosto 2016
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