Nell’epoca in cui viviamo la profusione di materiale fotografico è abnorme. Guardiamo milioni di immagini che ogni giorno passano davanti ai nostri occhi quasi ormai senza vederle, senza preoccuparci di chi sono, di cosa comunicano, cosa raccontano. Sono immagini già “consumate” in partenza. Siamo tutti testimoni di eventi o di luoghi: purtroppo dove tutti sono testimoni nessuno è giudice.
Siamo entrati a far parte di in un mondo popolato di persone sempre più simili le une alle altre: tendenzialmente tutti fanno la stessa cosa, osservano gli stessi spettacoli, accettano la stessa morale, mangiano gli stessi prodotti, i bambini vogliono tutti gli stessi giocattoli, le mamme le stesse marche di prodotti, i papà lo stesso tipo di automobile. E la fotografia, come tutte le altre forme di comunicazione, è parte di questo mondo.
Nel contempo la quantità esponenziale di fotografie crea uno spreco di immagini, un notevole abbassamento del nostro spirito critico e della capacità di giudizio, e quindi di scelta, rischiando la saturazione.
Per chi ama “la fotografia” a qualunque livello e ne vuole fare oggetto di suo interesse occorre trovare un pensiero, un filo conduttore non finalizzato all’immagine stessa, ma all’espressione del proprio contenuto personale.
Dal tempo di Niepce e di Daguerre la fotografia, nel senso più puro e importante della parola, ne ha fatta di strada, creando attorno a sè riflessioni di scrittori, di filosofi, di movimenti artistici e ha saputo modificarsi nel tempo, grazie all’apporto di grandissimi fotografi che, con la loro ricerca, hanno saputo posizionarla al centro di un processo estetico e quindi anche artistico.
Tra questi non posso non citare MAN RAY e ANDY WARHOL, ma rischierei di dimenticare sicuramente qualcuno se stilassi un elenco di fotografi che hanno avuto il coraggio di GUARDARE e di VEDERE in maniera diversa.
A me piace il “GUARDARE E VEDERE”. Per cultura e per educazione sono tra quelli che amano fotografare tutto ciò che è in un qualche modo interessante, curioso, bello e congeniale al mio modo mentale.
Nel contempo mi piace andare avanti e compiere nel mio fotografare una ricerca più sottile, imperniata sull’estetica, quasi impercettibile ai più, ma degna di attenzione. E’ una ricerca di soggetto, di situazione particolare, di racconto sulla memoria storica. Non mi interessa invece l’immagine eclatante a tutti i costi magari realizzata con artifici fotografici o digitali.
L’incontro tra la mia fotografia, definiamola tradizionale (pellicola 400 ISO, stampa ai Sali d’argento su carta baritata), e la pittura informale di CESARE BOTTO è da collocare all’interno di questa ricerca estetica. Il contrasto tra i colori della pittura di Botto e il bianconero delle mie fotografie, il tipo di materiale usato, il montaggio simbiotico delle due tecniche, pongono chi guarda l’opera in una situazione di dover prestare maggiore attenzione e quindi di ritornare alla piacevole sensazione del “GUARDARE e VEDERE”, oltre.
Ober Bondi Cuneo, 22/01/2012